Assegno non trasferibile
Per assegno non trasferibile intendiamo un mezzo di pagamento sul quale grava una clausola di “non trasferibilità”. Per comprendere bene che cosa sia un assegno non trasferibile, è opportuno partire dalla definizione stessa di assegno: l’assegno, come si sa, è un mezzo di pagamento che consiste in un ordine scritto, che viene rivolto alla Banca, di pagare a terzi (oppure a sé stessi) una certa somma di denaro.
Sulla base di questi presupposti, un assegno può essere emesso solamente dal titolare del conto corrente. L’assegno bancario è, per definizione, un titolo al portatore: questo significa che esso generalmente non riporta il nome del soggetto beneficiario del pagamento, ma che colui che si presenta in banca con l’assegno ha diritto a ricevere la prestazione di denaro che vi è riportata.
Tuttavia se chi emette l’assegno vuole che questo mezzo di pagamento non sia un titolo al portatore, vuole cioè renderlo non trasferibile, è tenuto a scrivere sul retro “non trasferibile”.
L’assegno non trasferibile: profili di legge
L’obbligo di non trasferibilità, o clausola di non trasferibilità, è stata sancita dal Decreto Legge numero 112 del 2008, il quale ha determinato che gli assegni di importo pari o superiore a 12.500 euro devono essere obbligatoriamente “Non trasferibile” e riportare questa scritta, assieme al nome (o alla ragione sociale) del beneficiario dell’assegno.
La somma di 12.500 euro si è poi gradualmente abbassata, fino ad arrivare al limite attuale che è di 1000 euro.
Ogni assegno di valore superiore a mille euro, quindi, devono essere portatori della clausola di non trasferibilità per legge.
Il fatto che il limite sia così basso comporta che il correntista che voglia ricevere un blocchetto di assegni liberi deve fare una richiesta specifica alla banca, pagando l’imposta di bollo di 1,5 euro per ogni modulo di assegno. Tali assegni senza la clausola di non trasferibilità possono essere utilizzati solo e solamente per importi inferiori a mille euro, pena applicazione di sanzioni. Questo significa, sostanzialmente, che i blocchetti di assegni vengono emessi dalle banche già forniti della cosiddetta clausola di non trasferibilità.
Comprendere le ragioni di questa norma di legge recente è abbastanza semplice. Grazie alla clausola di non trasferibilità, l’assegno diventa un mezzo di pagamento molto più sicuro, in quanto il pagamento dell’importo determinato può essere emesso solo nei confronti di un determinato soggetto il cui nome o la cui ragione sociale si trovi segnata sull’assegno stesso. In questo caso si limitano esponenzialmente i danni che potrebbero provenire da un furto o da uno smarrimento, e si limita anche l’utilizzo illecito, per finalità criminali, dei soldi.
Sanzioni per mancato rispetto delle norme
Il mancato rispetto delle norme sull’assegno non trasferibile può comportare l’applicazione di sanzioni. Le sanzioni previste sono abbastanza salate, per scoraggiare comportamento contra legem da parte dei consociati, e vengono stabilite in un importo percentuale sul valore dell’assegno stesso.
L’intermediario che si accorga che manca la clausola di non trasferibilità sull’assegno, infatti, dovrebbe segnalare la situazione irregolare al Ministero dell’economia e delle Finanze, e la sanzione amministrativa sarà variabile dall’1 al 40% dell’importo dell’assegno (in ogni caso, minimo 3mila euro di sanzione).
Sono ritenuti solidalmente responsabili dell’irregolarità sia il correntista che il beneficiario. La violazione che non superi il valore i 250mila euro può essere ridotta se si versa il 2% dell’importo dell’assegno entro 60 giorni dalla notifica della contestazione.