Il falso in bilancio diventa reato penale
Nel Giugno 2015 entra in vigore la legge 69/2015 (detta anche legge anti-corruzione) che al suo interno, in particolare al capo secondo, ospita alcune modifiche per quanto riguarda il reato di falso in bilancio. Infatti, sono state introdotte alcune novità che da un lato hanno inasprito l’applicazione di questa norma e dall’altro hanno creato qualche confusione a livello interpretativo.
Quando e dove possiamo ravvisare questo reato?
Il bilancio di esercizio è il documento contabile che deve rappresentare in modo chiaro, veritiero e corretto la situazione patrimoniale, finanziaria ed il risultato economico della società . È uno strumento rivolto a vari soggetti: ai soci, ma anche al mercato, cioè terzi, creditori, banche, dipendenti, ossia persone che hanno interesse a conoscere la situazione della società. Per queste ragioni nel bilancio bisogna fornire tutte le informazioni necessarie affinché si dia una rappresentazione veritiera e corretta.
Il bilancio si compone di 3 parti: lo stato patrimoniale, il conto economico e la nota integrativa, poi c’è anche la relazione sulla gestione degli amministratori e la relazione del collegio sindacale e se c’è del revisore contabile.
Il falso in bilancio è un reato che si configura rispetto a tutte queste componenti e non al puro e semplice bilancio, quindi anche al conto economico e alla nota integrativa e quindi si ravvisa il reato in questione se in uno o in tutti questi atti ci sono delle manchevolezze, omissioni o dichiarazioni di fatti non corrispondenti al vero.
Bisogna anche sottolineare che il bilancio ha poi l’obbligo di rispettare dei criteri esterni che sono i principi contabili nazionali ed internazionali.
Che cosa si intende per falso in bilancio
Si intende la compilazione di false comunicazioni sociali. In altre parole: si riscontra tale reato se tra tutti quei documenti che compongono in senso lato il bilancio ce ne è qualcuno che contiene delle comunicazioni non corrette. Il reato di falso in bilancio nel nostro ordinamento ha avuto una storia lunga e tormentata che ha avuto una svolta con la legge 69/2015 che nasce come legge anti-corruzione, ma che in seguito al capo II dall’articolo 9 al 12 prevede delle variazioni sugli articoli del codice civile che riguardano il falso in bilancio, che decorrono dal 24 Giugno 2015.
Il reato di falso in bilancio nel nostro ordinamento è disciplinato nel codice civile e non in quello penale, ma non c’è da meravigliarsi in quanto non è l’unico caso. La legge 69/2015 tecnicamente ha aggravato la fattispecie portandola da contravvenzione a delitto, e l’ha divisa in due: art 2621 e 2622 del codice civile.
Il 2621 disciplina le false comunicazioni sociali rispetto a tutte le società, mentre il 2622 rispetto alle società quotate. La differenza è che la pena per le società chiuse (non quotate) va da 1 a 5 anni, mentre per quelle aperte (quotate) che vanno sul mercato e che sono quindi rivolte a tutti gli investitori, va da 3 a 8 anni (la sanzione è più grave).
La differenza sostanziale è che nella vecchia formulazione si andava a controllare l’esistenza o meno del danno e poi c’era una circostanza aggravante se si trattava di una società quotata. Inoltre, per le società chiuse si diceva “quelle previste dalla legge”, mentre ora per le società quotate questo inciso non c’è, di conseguenza per esempio anche un comunicato stampa può essere oggetto di reato.
Le novità apportate nell’articolo 2621 e 2622
Oggi il reato esiste se c’è il falso e non ci sono più delle soglie al di sotto delle quali il fatto non è costitutivo di una fattispecie penale. Per come è costruito è un reato di pericolo concreto, ciò significa che integra il fatto che ci sia la falsità, a prescindere che tale falsità abbia provocato o meno un danno, in capo all’uno o altro soggetto.
Il solo fatto che il documento contenga una falsità integra il reato. La modifica rilevante riguarda il tema dell’elemento oggettivo del reato, perché la 2621 prevede che oggi per la commissione del reato concorra il fatto che la condotta di chi commette sia consapevole e che siano fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero oppure l’omissione di fatti materiali rilevanti sempre consapevoli. Quindi, la prima importante modifica è la specificità che la condotta deve essere consapevole e la seconda è che il fatto deve essere rilevante. Altro cambiamento: adesso il reato è punibile d’ufficio, mentre una volta c’era il tema della querela di parte.
Le vere novità sono quindi quelle due norme che sono state inserite, cioè 2621 bis e ter. Il 2621 bis dice che si applica una pena inferiore da 6 mesi ai 3 anni alle società non quotate, quando i fatti sono di lieve entità. Tale lieve entità viene valutata sulla natura e dimensioni della società e sugli effetti della condotta tenuta. In questo caso è procedibile a querela ed è curioso sottolineare che è questa l’ipotesi che si applica alle società che non siano fallibili (fuori dall’ambito fallimentare come le startup innovative).
La seconda ipotesi del 2621 ter dice che non è punibile quando il fatto è caratterizzato dalla particolare tenuità e qui si valuta l’entità dell’eventuale danno cagionato alla società, ai soci o ai creditori. Quindi con queste 2 ipotesi, in una si riduce grandemente la pena, nell’altra non si raffigura un fatto di reato.
Chi sono i soggetti che possono commettere il reato?
È un reato proprio, cioè può essere commesso solo da soggetti individuati e quindi non da chiunque; la norma elenca: amministratori, direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i componenti del collegio sindacale e i liquidatori della società.
Bisogna poi tener conto che per quanto non previsto sull’elaborazione della giurisprudenza, c’è poi l’individuazione di chi è responsabile di fatto della commissione del reato, cioè anche se il soggetto non è indicato dal 2621, ma è colui che di fatto ha compilato i documenti all’interno dell’organizzazione societaria, allora risponde anch’egli della commissione del fatto di reato.