Sulla ritenuta d’acconto qual è il tetto massimo netto?
Il mondo del lavoro italiano continua a presentare non poche difficoltà a chi non disponga di un regolare contratto e sia perciò costretto a puntare su formule in grado di andare incontro ad esigenze spesso molto particolari.
Tra i problemi più avvertiti, c’è in particolare quello delle collaborazioni più o meno continuative, per le quali ormai da anni sembra in evidente crescita, anche per effetto del gradimento riscosso, la ritenuta d’acconto. Un sistema che va incontro del resto anche a chi già disponga di un lavoro e sia intenzionato ad arrotondare i propri compensi senza dover aprire una Partita IVA che in Italia sembra ormai diventata un percorso ad ostacoli, per i suoi alti costi gestionali. Per chi vuole evitare il lavoro nero, quindi, proprio la ritenuta d’acconto può rivelarsi la risposta migliore in assoluto.
Cos’è la ritenuta d’acconto
Nell’ordinamento italiano la ritenuta d’acconto è stata introdotta nel 2003, tramite la Legge Biagi. Al fine di essere riconosciuta come tale, essa deve confluire all’interno di alcuni paletti fissati per legge. In particolare:
- non deve costituire attività abituale;
- deve rappresentare un’attività non professionale;
- non deve essere svolta con continuità;
- non deve sussistere coordinazione.
Proprio da quanto detto, ne deriva che tale genere di collaborazione non abbia alcuna necessità di regolamentazione ad opera di un contratto di prestazione occasionale scritto ed il collaboratore occasionale conservi totale libertà di svolgimento del lavoro che gli è stato commissionato.
Limiti massimi sulla ritenuta d’acconto
Proprio il particolare regime fiscale cui è sottoposta la ritenuta d‘acconto, rende necessario il rispetto di altri importanti requisiti, delegati proprio a far sì che una collaborazione, per legge, possa essere considerata occasionale e non professionale:
- la collaborazione con uno stesso committente non può oltrepassare il termine di trenta giorni in uno stesso anno solare;
- la somma dei vari compensi percepiti non può essere superiore ai 5 mila euro netti nel corso di uno stesso anno solare.
La mancata osservazione di tali fattispecie sposterebbe il senso della collaborazione, la quale smetterebbe di essere occasionale per diventare a progetto o professionale, entrando dunque in un altro ambito normativo.
Cosa può accadere in caso di violazioni?
Come si può facilmente comprendere da quanto detto sinora, tra gli aspetti più particolari e delicati di un simile genere di prestazione lavorativa rientra senza alcun dubbio quello contributivo. Chi infatti riesce ad attenersi ai limiti fissati per legge è oggetto di esenzione dal pagamento dei contributi dovuti all’INPS, in quanto il professionista occasionale non può essere considerato alla stregua di un lavoratore dipendente non esistendo legame di subordinazione col committente e busta paga a fine mese, o di un lavoratore autonomo, poiché non raggiunge la somma di 5 mila euro lordi all’anno, con cui può essere considerato tale.
Proprio per questo motivo, quindi, il lavoratore in ritenuta d’acconto non è tenuto a dare nulla all’ente di previdenza sociale, rimanendo al contempo sprovvisto dell’assegno di previdenza di cui possono invece godere le altre categorie.
Il discorso cambia profondamente se viene, invece, oltrepassato il limite di 5 mila euro annuali, in quanto scatterebbe la perdita dello status di lavoratore occasionale. In tal caso, infatti, si entrerebbe in una sorta di girone infernale, quello della Gestione Separata INPS, che obbliga al relativo versamento dei contributi all’ente.
Naturalmente, una volta oltrepassati i canonici 5 mila euro, il lavoratore deve versare i contributi soltanto per la quota che va ad eccedere tale limite: nel caso perciò in cui il lavoratore in questione, alla fine dell’anno, abbia collezionato guadagni pari a 7 mila euro, mettendo insieme tutte le prestazioni occasionali svolte nell’arco di tempo in questione, la quota di contributi dovuti dovrà essere calcolata sui 2 mila euro eccedenti, non certo su tutti i soldi guadagnati.
In questo caso, sarà lo stesso lavoratore a comunicare al suo committente quanto avvenuto e provvedere da parte sua all’iscrizione alla Gestione Separata dell’INPS, ove non ne sia già un iscritto.
Cosa deve riportare la ricevuta
Va infine ricordato che il pagamento della prestazione occasionale, deve essere corredato dall’emissione di una fattura a norma di legge, all’interno della quale devono essere obbligatoriamente indicati:
- i dati personali del committente e del prestatore d’opera;
- i dati identificativi della ricevuta, ovvero il numero progressivo e la data;
- il compenso lordo;
- l’importo della ritenuta d’acconto, calcolato sul 20% sul compenso lordo;
- il totale netto da corrispondere.
Va infine sottolineato come occorra indicare in qualità di data della fattura non quella in cui è stato terminato il lavoro svolto, bensì quando è stato ricevuto il compenso stabilito inizialmente.